ASPIRIAMO AD ESSERE NOI STESS*
L'unico imprevisto è la paura
Il “genere” è uno strumento per capire.
Il “genere” è una cosa ben diversa dal cosiddetto “gender” usato dalla propaganda “no-gender”. Non è una teoria e non è una ideologia. E’ un concetto, è uno strumento che serve ad analizzare la realtà e a capirla. In questo caso, il concetto di “genere” si usa per capire e analizzare come si esprime socialmente, culturalmente e psicologicamente, in una data società, la differenza anatomico-sessuale dell’essere uomo o donna: i rapporti e le aspettative sociali, i valori e i prodotti culturali, la costruzione dell’identità e il senso di sé. Essere uomo o donna tra società e culture, e all’interno di una stessa società e cultura, non si esaurisce MAI nella caratterizzazione anatomico-sessuale. Difficilmente prescinde da essa, ma non si esaurisce mai in essa: questa è una realtà, non è un’opinione, né una teoria. E’ una realtà osservabile. E’ vita concreta di milioni di persone. Il concetto di “genere” serve a capire questa realtà. Esistono quindi vari studi e varie teorie che, usando quel concetto, cercano di approfondire, capire e spiegare.
E allora la “teoria del gender”?
La “teoria del gender” (o ideologia del gender) non esiste. E’ una patacca con una veste scientifica inventata ad uno scopo politico. E’ un’espressione che ha cominciato a circolare in ambienti vaticani nella metà degli anni ‘90 e che è stata rilanciata dal Lexicon all’inizio degli anni 2000 e infine rilanciata dall’allora Papa Ratzinger in un discorso pubblico contro l’approvazione del matrimonio per tutti in Francia nel 2013. La “teoria del gender” è dunque un’invenzione manipolatoria del Vaticano (attualmente utilizzata dal variegato movimento anti-gender) che è servita a dare coerenza a qualcosa che non c’è, una comprensibilità apparentemente immediata ed un volto unico ad un nuovo nemico senza il quale non si sarebbe riusciti a creare il panico e a convincere le persone alla mobilitazione diretta contro le persone LGBTI e la parità tra uomo e donna.
Perché non dirlo in italiano?
Non c’è nessun motivo per usare il termine “gender” anche in Italia. In italiano gender si traduce con “genere”. Gli studiosi e le studiose che ricercano, ragionano e dibattono in italiano intorno a questo concetto e alle diverse teorie prodotte intorno ad esso, usano il termine genere. L’unico motivo quindi per usare il termine in inglese da parte della propaganda “no-gender” è che “gender” in inglese evoca qualcosa di riconducibile ad una realtà americana, colonizzatrice, estranea, che è venuta ad imporre un modello “straniero” alle tradizioni culturali cristiane europee, per distruggerle o sostituirle. L’uso sistematico dell’inglese fin dall’inizio dell’elaborazione vaticana è dunque un trucco retorico per rafforzare il panico e la paranoia dell’accerchiamento e della distruzione culturale.
No-gender, omo-transfobia organizzata
Perché associamo la propaganda no-gender ad omofobia, bifobia e transfobia? Perché i discorsi e gli argomenti che usa non hanno nulla di nuovo, sono gli stessi che da sempre costituiscono il terreno ideologico di giustificazione dei fenomeni concreti di rifiuto, discriminazione, stigmatizzazione delle persone LGBTI. La differenza è che oggi hanno assunto una coerenza politica straordinaria grazie alla creazione di un nemico, il mitico “gender”. Ma etichettare persone e desideri come “contro-natura”, contro il volere di Dio o malate, sostenere che l’orientamento sessuale sia curabile con “terapie riparative”, diffondere paure di “contagio” per cui un certo tipo di educazione, famiglia o azioni farebbe diventare tutti gay, lesbiche o trans, confondere orientamento sessuale, o in generale tematiche LGBTI, con la pedofilia o talvolta persino la zoofilia, immaginare una società gerarchica in cui c’è chi sta “sopra” con diritti e dignità (“veri maschi” e “vere femmine” eterosessuali) e chi sta “sotto” senza diritti e dignità (persone LGBTI o persone non conformi alla visione unica)… Tutto questo è arsenale ideologico di omofobia e transfobia. Da sempre.
La “natura” come feticcio dell’ordine religioso
L’umanità è varia, la vita è complessa e mutevole. Da che mondo è mondo gli esseri umani cercano di dare un ordine mentale e sociale a questa varietà, complessità e mutevolezza. La propaganda no-gender usa il concetto di “natura” per imporre un ordine immaginario che non c’è. C’è sempre una cultura che decide cosa sia la natura, e la propaganda “no-gender” ha una sua versione della “natura”, che coincide non casualmente con una lettura religiosa (cattolica) della vita come piano di Dio. L’ordine sociale “secondo natura” della propaganda no-gender è molto semplice: produce maschi e femmine (uomini e donne), i quali sono complementari al fine di procreare (quindi sono eterosessuali), non “prevede” altro che questo ed è buona (mentre la cultura è cattiva e corruttrice). In realtà si tratta di un ordine immaginato: l’omosessualità esiste in natura sia come fatto in sé, sia come realtà del mondo animale, non sempre si nasce esclusivamente maschio o femmina, la costruzione dell’identità sessuale è ben più complessa della semplice presenza di genitali, la natura di per sé non è né buona né cattiva.
Le differenze oltre il bianco e il nero, il rosa e l’azzurro
La propaganda “no-gender” utilizza l’azzurro e il rosa esattamente come il bianco e il nero. Il mondo della propaganda “no-gender” è un mondo in bianco e nero, senza sfumature, senza differenze, senza unicità, senza autenticità. Paradossalmente questa propaganda attribuisce al cosiddetto “gender” l’eliminazione della differenza, ma è esattamente il contrario. Chi guarda alla realtà con la consapevolezza delle dinamiche di genere, è in grado di vedere come funziona il meccanismo delle aspettative sulle vite concrete, e quindi anche di vedere le sfumature, le differenze, le unicità, in quelle vite concrete, “oltre” al bianco e al nero, al rosa e all’azzurro. Al contrario, le persone e le loro vite, secondo la propaganda “no-gender”, sono uomini e donne ad una dimensione: quella delle aspettative sociali.
Chi ha paura del “gender”?
Secondo l’Espresso*, sono variamente interessati alla lotta contro il cosiddetto “gender”: Famiglia domani, Manif pour Tous Italia (poi diventata Generazione Famiglia) e le Sentinelle in piedi, il comitato Difendiamo i nostri figli, i Giuristi per la Vita, il Movimento italiano genitori (Moige), l’Associazione Genitori Cattolici, la onlus Scienza & Vita, il comitato articolo 26, il forum delle associazioni familiari, l’associazione Identità Cristiana, Non si tocca la famiglia, Voglio la Mamma e Catechista 2.0. Cassa di risonanza sono i media “La croce quotidiano”, “Tempi”, “La nuova bussola quotidiano” e “Notizie proVita”. Tra i movimenti ecclesiali più coinvolti ecco i Neocatecumenali, il Rinnovamento nello Spirito Santo e Papa Giovanni XXIII che hanno pregato contro la legge sulle unioni civili Cirinnà.
* “Teoria gender, ecco chi si nasconde dietro le parole di condanna di papa Francesco”, Michele Sasso, L’Espresso, 4 ottobre 2016
C’è solo una verità nella propaganda no-gender: la paura della realtà e dell’autenticità
Spaventare le famiglie, le persone, le scuole e le istituzioni con argomenti che manipolano e stravolgono il senso dei programmi per la riduzione degli stereotipi, della violenza di genere e del bullismo omo-transfobico e per l’allargamento dei diritti di uguaglianza, ha come scopo ed effetto quello di militarizzare il pregiudizio, rafforzando e perpetuando sofferenza, disuguaglianza, rifiuto, prevaricazione, disistima, vergogna nella vita concreta di molte persone. E’ un modo per negare la varietà naturale della realtà e il diritto delle persone ad una vita autentica. L’unica verità della propaganda no-gender, è che nasce dalla paura e dal rifiuto della realtà e dell’autenticità.
“Di genere”: le aspettative sociali sui corpi e sulle persone
Quando si parla di “strutture di genere”, “dinamiche di genere”, “rapporti di genere”, “aspettative di genere”, ecc., ci si riferisce solitamente al modo in cui la vita sociale è organizzata attribuendo alle persone ruoli, posizioni, espressioni, caratteristiche in relazione alla loro anatomia sessuale. Sono le aspettative che gravano su ciascuna o ciascuno di noi in virtù del fatto che nasciamo maschi o femmine. Amare solo persone dell’altro sesso (cioè essere eterosessuali) è una di queste aspettative. C’è anche chi per la verità nasce con caratteristiche anatomo-fisiologiche non definibili unicamente come maschili o femminili, ma anche su queste persone gravano le “aspettative di genere”, solitamente forzando ad essere Azzurro o Rosa, Nero o Bianco, chi Nero o Bianco non è nato. Dunque sono aspettative “naturali”? No, le aspettative sono sempre sociali.
Uomo e donna si è da subito, per la maggior parte di noi. Ma per una piccola parte non è così
La maggior parte di noi ha un senso profondo del proprio essere uomo o donna. Omosessuali, eterosessuali o bisessuali che siano, questo senso profondo c’è da sempre e non cambia. Ma c’è una piccola parte di persone che, malgrado nasca con caratteristiche fisiche e biologiche di un sesso, ha un senso profondo e permanente totalmente diverso dal proprio corpo. Da sempre e permanentemente. Non un giorno sì e l’altro no. Non come un capriccio. Sono le persone trans. La propaganda no-gender secondo la quale le persone possono scegliere come un capriccio se essere uomini o donne è a dir poco irrispettosa della vita e dell’esperienza delle persone trans.
Capita anche che si nasca con un corpo che ha caratteristiche di entrambi i sessi
Intersessuale è una persona i cui alcuni tratti sessuali, quelli del corpo, biologici o genetici, non sono chiaramente attribuibili ad un solo sesso. C’è una probabilità piccola ma non irrilevante che una persona nasca così. Non lo ha stabilito il movimento LGBTI, non se lo sono scelto le persone intersessuali, non se l’è inventato il “gender”. E’ così per natura. La granitica convinzione diffusa dalla propaganda no-gender che si nasca sempre e solo o maschio o femmina, sul piano biologico, è semplicemente e scientificamente falsa.
Non si decide di essere attratti da un uomo o da una donna, o da entrambi. Lo si è.
Una persona non decide di essere attratta da persone dello stesso sesso o di entrambi. Semplicemente lo è. Lo sente, lo sa. L’unica cosa che sceglie è il modo per essere (o non essere) se stessa, in famiglia, a scuola, sul lavoro, nella vita quotidiana. Può accadere molto presto, giovanissima, può accadere nel tempo, anche dopo anni di negazione o di “limitazione” di sé. Ma è attratta, e non è una scelta. C’è un momento della vita in cui le persone eterosessuali scelgono di essere attratte da persone dell’altro sesso? No. Non si sceglie come un capriccio o come indossare un vestito, questa è una propaganda no-gender che serve a negare la realtà: la profonda varietà umana.
Se la vita sociale si basasse solo sulla biologia sarebbe profondamente ingiusta
Se accettassimo che donne e uomini debbano corrispondere a ruoli sociali prestabiliti in nome di un preteso ordine naturale, accetteremmo che è solo la biologia o, peggio, il racconto di essa, a determinare la vita sociale e civile. Dunque, per esempio, perché un uomo non dovrebbe sentirsi legittimato alla prevaricazione su una donna, in quanto magari in media fisicamente più forte? Ecco, se accettassimo tutto questo, il preteso ordine naturale assomiglierebbe più ad un incubo che ad una vita civile. Il cosiddetto “ordine naturale” della propaganda no-gender è un ordine sociale basato su prevaricazione, gerarchia, disuguaglianza.
La regola è la varietà umana: non ci sono eccezioni “inferiori” e regole “superiori”
Differenza non vuol dire né disuguaglianza, né gerarchia. La differenza di cui sono portatrici le persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali fa parte della naturale varietà umana. Non è un’eccezione più o meno tollerabile alla regola. E’ parte della regola: la varietà umana. La crociata contro il cosiddetto “gender”, ovvero contro l’educazione alle differenze e alla parità, è invece una crociata per stabilire chi è da considerare “in” e chi è da considerare “out”, chi è da considerare una “regola” e chi è da considerare una “eccezione”, chi è da considerare in posizione superiore e chi in posizione inferiore, chi ha più valore e chi ne ha di meno.
L’uso dell’asterisco come forma di rispetto
Qualche volta vi sarà capitato di vedere, magari perché stigmatizzato dalla propaganda “no-gender”, l’uso dell’asterisco al posto della caratterizzazione di genere nelle parole. E’ un aspetto ricorrente della comunicazione da parte delle persone molto attente alla comunità LGBTI. E’ una forma di rispetto verso le persone che, per motivi vari (ad esempio trans o intersex), non si riconoscono nella distinzione netta “di genere” imposta dal linguaggio. E’ un modo per eliminare le differenze? No, al contrario, è un modo per riconoscere che ci sono molte differenze, che la differenza uomo/donna non le esaurisce tutte e che il linguaggio non consente di accoglierle adeguatamente. Questo vuol dire negare che ci siano in maggioranza macro-differenze “di genere”? No. Significa solo avere una attenzione in più.
L’educazione alle differenze a scuola facilita una costruzione positiva dell’identità
Le attività di educazione alle differenze e alla parità di genere costituiscono occasioni talvolta uniche per accompagnare in modo positivo e rispettoso il percorso di costruzione dell’identità affettiva e sessuale dei ragazzi e delle ragazze, affinché non ci sia solitudine di fronte a discriminazione, bullismo e violenza. Accrescono l’autostima e il valore della propria identità, qualunque essa sia, per essere più forti di qualunque fobia e pregiudizio. Non insegnano chi essere, perché quello non si trasmette: danno gli strumenti per consentire alle persone in formazione di diventare la migliore immagine che esse stesse hanno di sé.
Non solo “rispetto”: contrastare il bullismo
Contrastare il bullismo omofobico non implica solo insegnare il rispetto per gli altri, e per le persone omosessuali in particolare. Il bullismo omofobico non vive in una campana di vetro sterile: cresce su un terreno di pregiudizi, stereotipi e false gerarchie che distinguono tra superiori e inferiori. Senza questo terreno, nessun bullo penserebbe che i/le giovani omosessuali o transessuali “meritino” il trattamento che viene loro riservato. E’ vano e inutile contrastare il bullismo senza mettere in discussione questo terreno che “giustifica” la vittimizzazione agli occhi del bullo. Per questo gli interventi nelle scuole si focalizzano proprio su stereotipi, pregiudizi e strutture mentali e sulla consapevolezza della variabilità umana. Quando la propaganda no-gender dice che è d’accordo nel combattere il bullismo e nell’insegnare il rispetto, a patto di non parlare del terreno su cui prolifera, semplicemente vende aria fritta: non hanno intenzione di fare nulla.
Il bullismo omofobico non è un bullismo qualunque
Se è vero che il bullismo prende solitamente di mira diverse “categorie” stigmatizzate oltre alle persone LGBTI (le persone grasse, le donne, coloro che fanno parte di minoranze etniche), il bullismo omo-transfobico ha una sua particolarità: 1) coinvolge l’intera dimensione privata e personale della sessualità e 2) si radica in una cultura generale ancora omo-transfobica che di fatto giustifica gli aggressori ed è spesso interiorizzata dallo stesso aggredito. Questo fa sì che: l’aggressione viene spesso tenuta per sé, o perché gli altri sono meno ricettivi o perché la vittima è ancora fragile rispetto alla propria identità; trovare sostegno e protezione tra i pari è più difficile, perché i pari “difensori” temono di essere a propria volta associati alla persona omosessuale o transessuale ed etichettati come tali; l’omofobia interiorizzata, la disistima di sé, aumenta la vulnerabilità della vittima.
L’educazione sessuale non “insegna il sesso”, ma spiega e accompagna fasi naturali
Con l’educazione sessuale non si insegna la sessualità o il sesso, ma si spiega e si accompagna, e nulla che bambini e bambine, ragazzi e ragazze, non sperimentino già in base alla loro fase evolutiva. Le linee guida dell’OMS non fanno altro che fornire indicazioni agli adulti su come rapportarsi con le varie fasi di sviluppo sessuale e del corpo di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, prendendo semplicemente atto di una realtà che già c’è: l’auto-esplorazione del corpo o le domande sul sé e la propria sessualità sono momenti naturali della crescita. L’educazione sessuale aiuta ad essere di supporto a chi cresce e a favorire una crescita libera e consapevole, prevenire complessi e disturbi psicologici e comportamentali, e proteggere anche dagli abusi.
L’educazione sessuale aiuta a rendere più forti, consapevoli e liber*
Bambini e bambine, ragazzi e ragazze, normalmente esplorano, si fanno domande, hanno dubbi: sul loro corpo, sulla sessualità e identità sessuale. Esseri umani che crescono, “naturalmente” esplorano il corpo, si confrontano con il proprio e altrui essere “uomini” e “donne”, hanno desideri e rapporti sessuali, si fanno domande, possono avere dubbi sul loro orientamento sessuale, ecc. L’educazione sessuale aiuta a crescere consapevoli e liberi. Al contrario, la crociata no-gender mantiene persone “in crescita” ignoranti rispetto al corpo, alle pulsioni e alla sessualità, caricandole di precetti e divieti (dover essere eterosessuali, non dover fare sesso non procreativo, dover essere “veri maschi” e “vere femmine”, ecc.) che a loro volta sono fonte di vergogna, auto-colpevolizzazione, giudizio, paure. Questa ignoranza nella rete di divieti e precetti è la base su cui poi proliferano l’abuso, i comportamenti a rischio, la sofferenza psicologica, soprattutto per chi non è conforme ai precetti. Un ragazzo e una ragazza consapevoli, invece, sono maggiormente in grado di reagire ad abusi, manipolazioni, pressioni.
Persone e famiglie: moltiplicare opportunità di felicità e sviluppo
Matrimoni e unioni tra persone dello stesso sesso non tolgono nulla a quelli eterosessuali
Il fatto che due persone dello stesso sesso si sposino non toglie nulla alle persone eterosessuali che decidono di fare lo stesso. Un’opportunità data a chi ne è tradizionalmente escluso non toglie nulla a chi ne è stato tradizionalmente incluso. La situazione dipinta dalla propaganda “no-gender”, per cui se qualcuno “guadagna”, qualcun altro “perde”, è un falso. La vita sociale non è sempre un gioco “a somma zero”. Quale sarebbe allora il meccanismo con cui si “distrugge la famiglia naturale”? Ci saranno meno “famiglie eterosessuali”? Non c’è nessun meccanismo di questo tipo. Anzi, l’allargamento delle opportunità a chi ne è escluso allarga anche il campo dei valori e delle aspirazioni condivise in una società.
Il valore delle famiglie: diverse, e tutte concorrono allo sviluppo della società
Se la base della società è la famiglia, tante famiglie ne consentono lo sviluppo. La famiglia al singolare non esiste più da tempo. C’è chi rimane single e magari vorrebbe avere figli o adottarli (come in molti Paesi), chi si sposa, chi convive e non si sposa o chi divorzia, chi ha figli e chi non ne ha, chi li cresce da solo, chi con il compagno o la compagna e chi ancora con l’aiuto di altre persone (famigliari, o ex, o amici), chi fa figli e chi li adotta. Tutte queste famiglie concorrono allo sviluppo della personalità dell’individuo. Lo chiarisce anche la nostra Costituzione. In questo modo, concorrono anche allo sviluppo della società. E quando famiglie omosessuali hanno o adottano figli, cosa succede? La stessa cosa: lo sviluppo della società.
I valori “della famiglia”
Nella nostra società attuale, la famiglia è riconosciuta come il soggetto in cui le persone presenti partecipano intimamente gli uni delle vite degli altri, secondo i valori generalmente condivisi dell’affetto, dell’amore, della mutua assistenza, della solidarietà presenti nella nostra società. La “famiglia naturale” intesa come la intende la propaganda “no-gender” (madre biologica, padre biologico, figli biologici e figlie biologiche) non è di per sé una garanzia di presenza e diffusione di quei valori, perché anche lì l’abuso, la solitudine, l’indifferenza, il rifiuto, possono accadere come in tutte le famiglie. Vivere in perfetta conformità con i precetti e i divieti attribuiti socialmente ai propri genitali non è certamente una garanzia, anzi, può diventare fonte di sofferenza per sé e per gli altri: ne sanno qualcosa i tanti ragazzi e le tante ragazze gay e lesbiche, o transessuali, cresciuti e cresciute in “famiglie naturali” in cui abuso, solitudine, indifferenza e rifiuto sono stati “di casa”.